por Carlo Del Piano 4 anos atrás
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Per guerra si intende un fenomeno sociale che ha il suo tratto distintivo nella violenza armata posta in essere fra gruppi organizzati. Nel suo significato tradizionale la guerra è un conflitto fra stati sovrani o coalizioni per la risoluzione, di regola in ultima istanza, di una controversia internazionale più o meno direttamente motivata da veri o presunti (ma in ogni caso parziali) conflitti di interessi ideologici ed economici.
Il termine deriverebbe dalla parola werran dell'alto tedesco antico che significa mischia. Nel diritto internazionale, il termine è stato sostituito, subito dopo la seconda guerra mondiale, dall'espressione "conflitto armato", applicabile a scontri di qualsiasi dimensione e tipo. La guerra in quanto fenomeno sociale ha enormi riflessi sulla cultura, sulla religione, sull'arte, sul costume, sull'economia, sui miti, sull'immaginario collettivo, che spesso la cambiano nella sua essenza, esaltandola o condannandola.
Le testimonianze archeologiche indicano che la guerra fa parte della vita umana da tempo immemorabile.
•Nasce a Corduba, nel 39 d.C.
•Fu allievo dello stoico Marco Anneo Cornuto
•Fu chiamato da Nerone che gli conferì l’onore della questura
•Subì una brusca svolta quando il favore del princeps lo abbandonò
•Aderì nel 65 d.C. alla congiura di Pisone
•Scoperta la congiura fu costretto a darsi la morte alla sola età di ventisei anni
Argomento dell’opera, in 10 libri, è la guerra civile tra Cesare Pompeo, nella battaglia di Farsalo.
La morte impedì a lucano di portare a compimento il poema. Si pensa infatti che fosse sua intenzione scrivere altri due libri in cui avrebbe dovuto narrare la prosecuzione della guerra in Africa fino al suicidio di Catone a Utica.
La centralità tematica dei libri V e VII rende evidente la plausibilità dell’ipotesi di un’opera incompiuta e articolato in 12 libri, divisibili in due esami secondo il modello virgiliano.
Troviamo all’interno figure che assumono atteggiamenti estremi di eccessivi e modi di esprimersi solenni ed enfatici. Carattere principale dell’opera è che questo può essere considerato un poema senza eroi.
Cesare è sempre presentato in una luce sfavorevole dal narratore che pronuncia su di lui giudizi negativi. Egli è quindi raffigurato come il genio del male: personaggi opposto rispetto al pius Aeneas.
(Cesare) guarda il corso dei fiumi
sospinto dal sangue e mucchi di cadaveri che uguagliano
la cima di alti colli, osserva gli ammassi di corpi
decomposti ed enumera i popoli di Pompeo; ordina di imbandire
la mensa nel luogo da cui può riconoscere il sembiante
e i volti dei caduti. Si compiace: non riesce a scorgere il suolo
d’Emazia, e percorre con lo sguardo i campi nascosti dalla strage
[…]
E per non perdere, forsennato, il lieto spettacolo dei delitti,
rifiuta agli sventurati il fuoco del rogo, e al cielo
colpevole impone la vista d’Emazia
Di fronte a questa poderosa immagine di eroe negativo, i valori positivi sono affidati ai due antagonisti: Pompeo e Catone.
Pompeo, benché rappresentato come difensore della legalità repubblicana non ha una struttura propriamente eroica. Appare fin dal ritratto iniziale guerriero in declino, risulta nel corso dell’azione debole, passivo, incerto e timoroso, privo di fiducia in sé e dei suoi soldati: destinato quindi alla sconfitta.
Completamente positiva invece è la figura di Catone, presenta al tempo stesso il campione della legalità incarnazione del sapiente storico. Egli non occupa nel poema una posizione tale da permettergli di accamparsi come vero protagonista e; ciononostante la morte prematura lucano di descrivere il suo momento di maggior gloria: il suicidio eroico.
Pablo Diego José Francisco de Paula Juan Nepomuceno María de los Remedios Cipriano de la Santísima Trinidad Ruiz y Picasso (Malaga, 1881- Mougins, 1973), pittore e scultore, è considerato uno degli artisti più importanti del XX secolo. Il cognome “Picasso” con cui è passato alla storia, è legato a quello della madre (Maria Picasso y Lopez).
A diciannove anni Picasso decide di lasciare la Spagna per andare a Parigi e vivere tra gli artisti bohemien di Montmartre e Montparnasse. All'inizio divide la stanza con il poeta e pittore Max Jacob. La camera pare avesse un solo letto, così a turno uno dei due riposava di giorno, l’altro di notte.
Quando venne rubata la Gioconda nel 1911, nella lista dei sospettati finì anche il nome di Picasso, a causa dell’amico poeta Guillaume Apollinaire che, condotto in commissariato per un interrogatorio, fece il nome dell’amico artista.
La sua opera più famosa probabilmente è la colossale Guernica (a fondo pagina e in copertina), considerata uno dei capolavori del XX secolo. Rappresenta le conseguenze del bombardamento della Luftwaffe sulla piccola città di Guernica, durante la Guerra civile spagnola.
All'ambasciatore nazista Otto Abetz che, entrato nel suo atelier di Parigi gli chiese indicando l’opera: “È lei che ha fatto questo?”, Picasso laconicamente rispose: “No, lo avete fatto voi tutto questo!”
Oltre che per le sue opere, Picasso è famoso anche per il suo stile di vita e le sue avventure sentimentali.
Picasso muore a Mougins l'8 aprile 1973.
La Guernica
Guernica è il nome di una cittadina spagnola che ha un triste primato. È stata la prima città in assoluto ad aver subito un bombardamento aereo. Ciò avvenne la sera del 26 aprile del 1937 ad opera dell’aviazione militare tedesca. L’operazione fu decisa con freddo cinismo dai comandi militari nazisti semplicemente come esperimento. In quegli anni era in corso la guerra civile in Spagna, con la quale il generale Franco cercava di attuare un colpo di stato per sostituirsi al legittimo governo. In questa guerra aveva come alleati gli italiani e i tedeschi. Tuttavia la cittadina di Guernica non era teatro di azioni belliche, così che la furia distruttrice del primo bombardamento aereo della storia si abbatté sulla popolazione civile uccidendo soprattutto donne e bambini.
Quando la notizia di un tale efferato crimine contro l’umanità si diffuse tra l’opinione pubblica, Picasso era impegnato alla realizzazione di un’opera che rappresentasse la Spagna all’Esposizione Universale di Parigi del 1937. Decide così di realizzare questo pannello che denunciasse l’atrocità del bombardamento su Guernica. L’opera di notevoli dimensioni (metri 3,5 x 8) fu realizzata in appena due mesi, ma fu preceduta da un’intensa fase di studio, testimoniata da ben 45 schizzi preparatori che Picasso ci ha lasciato.
Il quadro è realizzato secondo gli stilemi del cubismo: lo spazio è annullato per consentire la visione simultanea dei vari frammenti che Picasso intende rappresentare. Il colore è del tutto assente per accentuare la carica drammatica di quanto è rappresentato. Il posto centrale è occupato dalla figura di un cavallo. Ha un aspetto allucinato da animale impazzito. Nella bocca ha una sagoma che ricorda quella di una bomba. È lui la figura che simboleggia la violenza della furia omicida, la cui irruzione sconvolge gli spazi della vita quotidiana della cittadina basca. Sopra di lui è posta un lampadario con una banalissima lampadina a filamento. È questo il primo elemento di contrasto che rende intensamente drammatica la presenza di un cavallo così imbizzarrito in uno spazio che era fatto di affetti semplici e quotidiani. Il lampadario, unito al lume che gli è di fianco sostenuto dalla mano di un uomo, ha evidenti analogie formali con il lampadario posto al centro in alto nel quadro di Van Gogh «I mangiatori di patate». Di questo quadro è l’unica cosa che Picasso cita, quasi a rendere più esplicito come il resto dell’atmosfera del quadro di Van Gogh – la serenità carica di valori umani di un pasto serale consumato da persone semplici – è stata drammaticamente spazzata via.
Al cavallo Picasso contrappone sulla sinistra la figura di un toro. È esso il simbolo della Spagna offesa. Di una Spagna che concepiva la lotta come scontro leale e ad armi pari. Uno scontro leale come quello della corrida dove un uomo ingaggia la lotta con un animale più forte di lui rischiando la propria vita. Invece il bombardamento aereo rappresenta quanto di più vile l’uomo possa attuare, perché la distruzione piove dal cielo senza che gli si possa opporre resistenza. La fine di un modo di concepire la guerra viene rappresentato, anche in basso, da un braccio che ha in mano una spada spezzata: la spada, come simbolo dell’arma bianca, ricorda la lealtà di uno scontro che vede affrontarsi degli uomini ad armi pari.
Il pannello si compone quindi di una serie di figure che, senza alcun riferimento allegorico, raccontano tutta la drammaticità di quanto è avvenuto. Le figure hanno tratti deformati per accentuare espressionisticamente la brutalità dell’evento. Sulla sinistra una donna si dispera con in braccio il figlio morto. In basso è la testa mutilata di un uomo. Sulla sinistra, tra case e finestre, appaiono altre figure. Alcune hanno il volto incerto di chi si interroga cercando di capire cosa sta succedendo. Un’ultima figura sulla destra mostra il terrore di chi cerca di fuggire da case che si sono improvvisamente incendiate.
Guernica è l’opera che emblematicamente rappresenta l’impegno morale di Picasso nelle scelte democratiche e civili. E quest’opera è stata di riferimento per più artisti europei, soprattutto nel periodo post-bellico, quale monito a non esentarsi da un impegno diretto nella vita civile e politica.
Come abbiamo potuto vedere, entrambi gli autori si preoccupano di trattare gli argomenti della guerra: in particolare, Lucano della battaglia di Farsalo, e Tacito tramite le esperienze del suocero Agricola sul fronte della Britannia.
Lucano fa oggetto della sua epica la violenza, la tirannia, le lotte intestine, anziché la pietas, la libertas, e la concordia. L’ideologia tradizionale viene presentata al momento della sua caduta, quando i difensori della res publica soccombono di fronte al nemico.
Tuttavia, il personaggio di Catone è totalmente positivo: egli rappresenta per Lucano sia la legalità repubblicana, sia l'incarnazione del sapiente stoico. Nonostante non sia il protagonista dell'opera, la morte prematura dell'autore ha impedito la scrittura del suo suicidio eroico.
Fin dai tempi antichi gli uomini hanno cercato di affermare i valori della propria libertà, e Catone è la piena raffigurazione di chi muore per dei valori: egli infatti preferisce il suicidio piuttosto che all'umiliazione di farsi graziare da Cesare e assistere alla fine dei valori repubblicani che, da sempre, aveva difeso.
Secondo Tacito, invece, la restrizione della libertà di opinione era da imputarsi ad una legge che andava contro il dettato giuridico precedente, il quale sanciva “facta arguebantur, dicta impune erant” e che voleva dire che solo le azioni erano passibili di castigo ma non le parole.
Egli mette in evidenza come anche il ritorno ad un passato repubblicano non avrebbe dato i frutti sperati a causa della corruzione dei senatori, anch'essi in buona parte servili e, in alcuni casi, privi scrupoli. A testimonianza di questo, Tacito ricorda il fallimento della congiura Pisoniana operata nei confronti di Nerone
La capacità di Tacito di esprimere una condizione di assenza di libertà lo portò ad essere molto apprezzato nel Seicento, secolo in cui sorse il cosiddetto “tacitismo”.
La fortuna moderna di Tacito inizia nel Cinquecento. I primi cinque libri degli Annales vengono stampati per la prima volta nel 1515; tre anni prima Niccolò Machiavelli aveva scritto Il Principe, teorizzando la figura del reggitore dello Stato che deve servirsi di ogni mezzo, che fosse lecito o illecito dal punto di vista morale, per poter conseguire il suo fine. Ma i secoli del XVI e XVII sono anche quelli della Controriforma: gli scritti di Machiavelli sono posti all'indice della chiesa cattolica e il suo nome è addirittura messo al bando. Si adotta allora un più sottile espediente per affrontare e discutere il problema politico: qui il nome di Tacito venne usato per alludere a quello di Machiavelli. Proprio questo è il fenomeno che nel Novecento viene chiamato Tacitismo.
Il pregiudizio ideologico condiziona, nei secoli a venire, la ricezione dell'opera di Tacito: se gli illuministi amano lo scrittore che ha saputo indagare meglio di chiunque altro le aberrazioni del regnum, i romantici vedono in lui un difensore della res pubblica e il regime nazista strumentalizza la Germania, interpretando in chiave razzista le tesi tacitiane dell'autoctonia e dell'integrità etnica dei Germani (la stessa circostanza che dimostrerebbe la "purezza" della razza ariana).
Alla base della visione storica di Lucano vi è un sostanziale pessimismo: egli fa oggetto del suo poema proprio la guerra civile e la mostra direttamente in tutto il suo orrore e la sua negatività, esasperandone ogni aspetto attraverso uno stile patetico e macabro. Per il poeta la storia non è progresso, ma l’involuzione di individui e di popoli e, soprattutto, un intero mondo di valori.
Il merito principale di Tacito fu quello di porsi dal punto di vista altrui, ossia dei nemici e degli sconfitti. Seppe cioè dar voce anche alla posizione non ufficiale.
Tuttavia, pur sembrando condividere il punto di vista del nemico, non intende porre in discussione l'imperialismo romano, in quanto ritiene che l'ordine di Roma sia l'unica garanzia di sopravvivenza per tutti. Secondo Tacito, non è realistico prescindere dalla "pax romana" nonostante i suoi difetti. Il suo merito è stato comunque quello di metterli in luce dando voce alle vittime della missione universale di Roma. Ciò ci porta a dire che Tacito è senza dubbio il più grande storico romano per la sua capacità di analisi politica e di riflessione lucida sui drammi della storia. Il più grande motivo d'attualità dell'opera di Tacito oggi, è la riflessione sulla guerra. Le idee di Tacito sono molto chiare, anche se oggi appaiono un po' controcorrente. In primo luogo, con grande onestà riconosce la necessità della guerra e l'impegno dell'impero per mantenere la pace e l'ordine mondiale. Tacito afferma testualmente che non ci può essere pace senza esercito e non c'è esercito senza tributi. Pur dicendo questo, non si nasconde i limiti dell'imperialismo romano.
Il poema di Lucano si apre con un elogio di Nerone a cui segue l’esposizione delle cause della guerra. Egli entra quindi nel vivo dell’azione; Bruto e Catone Uticense discutono sul conflitto, che rischia di porre fine alla res publica, in quanto ben peggiore di quello tra Mario e Silla. I due si chiedono se sia meglio astenersi, visto che chiunque trionferà si comporterà come dittatore assoluto, o piuttosto schierarsi dalla parte di Pompeo, di cui è ancora possibile condizionare le decisioni e l’atteggiamento futuro. Catone, conscio della sete di potere che anima Cesare, convince Bruto a optare per la seconda possibilità.
In base a quanto detto precedentemente, sappiamo quindi che Tacito fu uno storico dalla riflessione lucida e spietata: aveva già capito che ormai la Repubblica non poteva più essere restaurata, e la libertà repubblicana, un ideale altissimo, era ormai improponibile nel presente. Da ciò deriva il suo pessimismo, nonostante nella sua opera sull'oratoria (Dialogus de Oratoribus) mette bene in chiaro che la grande oratoria, intesa anche come espressione di passione e di lotte politiche e civili, era fiorita proprio quando era impossibile la libertà. Con l'avvento dell'impero si ebbe la pace e un miglioramento delle condizioni perché erano cessate le lotte civili, però nello stesso tempo era cessata anche la libera oratoria, isterilita in vuote esercitazioni retoriche oppressa dal dispotismo.
Nell'Agricola Tacito fa dire ad un capo Caledone queste parole a proposito dei romani:
"Là dove fanno il deserto gli danno il nome di pace".
Potrebbe sembrare strano, ma la storia negli anni si ripete: la stessa frase è stata infatti riutilizzata, non a caso, per denunciare gli imperialismi moderni, francese, e, in minoranza, statunitense nel Vietnam.
Il Vietnam nel corso del XIX secolo divenne colonia francese assieme ai limitrofi Laos e Cambogia, in quella che veniva allora chiamata, con denominazione colonialista, l'Indocina Francese. In ossequio alla propria tradizione repubblicana, i francesi erano soliti istituire sistemi scolastici molto avanzati presso le proprie colonie, e questo ebbe luogo in Vietnam a partire dagli anni '20 del XX secolo. Secondo la concezione dei colonizzatori francesi, infatti, la scolarizzazione delle popolazioni indigene avrebbe rappresentato un modo efficace per rinsaldare il potere in quei territori, imponendo la cultura della madrepatria secondo la “missione civilizzatrice” che la stessa Francia si era assegnata per giustificare l'oppressione su popoli ritenuti culturalmente “inferiori”. Ufficialmente, il governo parigino affermava di voler estendere alle colonie “la scuola repubblicana, obbligatoria, gratuita e laica” introdotta nel 1881 da Jules Ferry, all'epoca primo ministro.
La volontà di sviluppare un sistema scolastico ed educativo nelle colonie non deve sorprendere, anzi va ad inscriversi perfettamente all'interno delle dinamiche dell'epoca coloniale.
L'obiettivo finale sarebbe stato quello di costruire una “Grande Nazione” francese comprendente tutto l'impero coloniale, sostituendo le culture locali con quella della madrepatria attraverso un processo di “francesizzazione” degli autoctoni.
Il modello di colonizzazione culturale applicato dalla Francia, prevedeva una presunta “emancipazione” dei popoli colonizzati grazie ai contatti con la cultura francese, giudicata superiore, e di conseguenza si pensava che quegli stessi popoli si sarebbero poi volontariamente piegati al dominio coloniale, ritenendolo conveniente anche per loro stessi. Tale modello venne però applicato in maniera meno dura in Vietnam e nel resto dell'Indocina francese, in quanto quelli asiatici venivano considerati come popoli più avanzati rispetto agli arabi ed ai neri africani. Ciò permise agli intellettuali locali di sviluppare una visione per certi versi autonoma e critica nei confronti della colonizzazione.
•Nasce tra il 55 e il 58 d.C.
•Sposa la figlia di Giulio Agricola, console nel 77 d.C.
•Sotto Domiziano, nel 88 d.C., raggiunge la pretura
•Ricopre il consolato sotto Nerva nel 97 d.C. come consul suffectus
•Ricopre il preconsolato della provincia d’Asia intorno al 112
•Muore attorno al 120 d.C.
La Germania viene pubblicata dopo l'agricola, nel 98. Si tratta di uno scritto di carattere etnografico, che non differisce, se non per la maggiore estensione, dagli excursus su paesi e popoli stranieri spesso inseriti nelle opere storiografiche. La Germania appartiene dunque un filone largamente coltivato nell'antichità, anche se costituisce l'unico esempio latino di opera esclusivamente etnografica giunta fino a noi. Il testo si compone di due parti: una descrizione complessiva della Germania transrenana e una rassegna più specifica delle singole popolazioni e del loro peculiarità. Dopo l'indicazione dei confini della regione vengono date brevi notizie sull'origine dei germani, sulle loro caratteristiche fisiche, sul clima, sulla natura e sulle risorse del territorio. Ha poi inizio la trattazione relative ai costumi.
La seconda parte contiene l'esposizione delle istituzioni e usi delle singole tribù: una rassegna delle popolazioni germaniche di molte delle quali sono semplicemente registrati il nome e la collocazione geografica, mentre gli altri si descrivono le condizioni di vita e costumi. Si ritiene che la cospicua massa di informazioni confluita nel trattato prendi in prevalenza da fonti letterarie come il de bello Gallico di Cesare, l'opera di Plinio il vecchio sulle guerre germaniche, e non si escludono testimonianze dirette di soldati e prigionieri di guerra. Nella sua indagine sui germani tacito non appare mosso da una curiosità autentica e disinteressata per la vita e ne ho tanti di un popolo straniero: a Roma il suo punto di riferimento fisso, la sua preoccupazione costante e quasi ossessiva. La sua prospettiva consiste però in un atteggiamento ambivalente nei confronti del tema trattato. Da un lato egli manifesta sincera ammirazione per i costumi semplici e austeri e per questo la trattazione è condotta sul filo di un costante e polemico confronto, perlopiù allusivo e indiretto con i corrotti costumi romani contemporanei. È significativo che tacito non si limita a descrivere in positivo le usanze praticate dei germani ma sottolinea che anche con insistenza quelli che essi non conoscono e non praticano, con riferimento alla ben diversa situazione romana: le donne germaniche non assistono a spettacoli, non partecipano a banchetti. prevale largamente il quadro positivo della società germanica tuttavia, ammirata anche per il sistema politico fondato sulla libertà s'. Affiora però in contrasto con l'ammirazione per le molte virtù che pongono i barbari al di sopra del corrotto mondo romano, un atteggiamento di superiorità e a volte di ripugnanza e di disprezzo per sistemi di vita ancora tanto rozzi e primitivi. Ma soprattutto a proposito del più grave difetto dei germani la discordia cioè l'incapacità di coalizzarsi stabilmente contro un nemico comune, che tacito rivela il suo pensiero costantemente rivolto a Roma.
Subito dopo la sconfitta nella Prima guerra mondiale, in Germania era stata proclamata la Repubblica il 9 novembre 1918. Il governo provvisorio dei socialdemocratici intendeva dare al Paese istituzioni. All’ estrema sinistra si era formato un vasto movimento, detto Lega di Spartaco dal nome del gladiatore.
Gli spartachisti volevano una rivoluzione. I fondatori del movimento, Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg furono assassinati insieme a molti compagni. L’assemblea, riunita nella città di Weimar, elaborava una Costituzione democratica. La Germania divenne una repubblica federale. La repubblica di Weimar era però sottoposta a pesanti pressioni. Infatti i conservatori, i grandi gruppi industriali e gli altri ufficiali accusavano il governo repubblicano di aver tradito la Germani firmando l’armistizio.
Si trattava di una propaganda nazionalista. Il governo doveva fronteggiare una situazione economica disastrosa e pagare gli enormi danni di guerra che la Francia esigeva con urgenza. Per evitare nuove tasse, il governo di Weimar fece stampare banconote a ritmo frenetico, il che accelerò l’inflazione già in atto. Il valore del marci, divenne praticamente zero. Le tensioni sociali e politiche toccarono il culmine. La Germania fu sconvolta da attentati terroristici e tentativi insurrezionali. L’economia tedesca si riprese dopo il 1924 grazie a un’importante riforma monetaria e ai finanziamenti americani che portò alla stabilizzazione del marco. Anche la situazione politica interna sembrò stabilizzarsi con l’elezione a Presidente della Repubblica del maresciallo Hindenburg sostenuto dai nazionalisti e dai militaristi.
Hitler e il suo programma.
Austriaco di nascita anche Adolf Hitler giudicava la sconfitta e le condizioni di pace. L’anno successivo Hitler costituì le SA (reparti d’assalto) un’organizzazione armata che aggrediva con la violenza gli avversari politici. Più tardi, creò la propria guardia personale, le SS (squadre di protezione). Il complotto fu scoperto, ed Hitler trascorse in carcere circa un anno, durante il quale scrisse il suo programma politico nel libro Mein Kampf (la mia battaglia). I principi fondamentali del suo pensiero erano i seguenti:
Nazionalismo. La Germania , umiliata dalla pace nel 1919, doveva diventare una grande potenza.IDEOLOGIA NAZISTA Razzismo. Il riscatto della Germania sarebbe avvenuto grazie alla superiorità della “razza ariana”. Tutte le razze “inferiori” erano da considerarsi nemiche. I nemici peggiori erano gli ebrei, che andavano eliminati. Hitler giudicava gli ebrei responsabili di tutti i mali della Germania.
• Anticomunismo. Il nazismo fece della lotta contro il “pericolo rosso”
• Guerra al sistema parlamentare. Per realizzare il suo programma, Hitler aveva bisogno di una nuova forma di Stato, che eliminasse il regime parlamentare e ritrovasse la sua unità intorno a un capo il Führer. Alle elezioni del 1932, il Partito nazista ottenne il 37% dei voti. Il 30 gennaio 1933, il presidente Hindenburg nominò cancelliere Adolf Hitler. Innanzitutto, egli pretese nuove elezioni per ottenere la maggioranza assoluta.
Giuseppe Ungaretti
Nacque nel 1888 ad Alessandria d’Egitto da genitori di origine lucchese. In Egitto frequentò scuole di lingua francese, studiò Baudelaire e il filosofo Nietzsche, lesse con passione Mallarmé e Leopardi. A 24 anni si traferì a Parigi dove conobbe persone quali Picasso, Breton, Papini quest’ultimo legato al movimento futurista. Tornato in Italia allo scoppio della Prima Guerra Mondiale aderì al partito interventista e nel maggio 1915 diventa soldato semplice di fanteria. Durante questi anni nacquero le liriche Porto Sepolto (1916), dopo la guerra pubblicò Allegria di Naufragi (1919) e una volta stabilito a Parigi, si sposa. Nel 1921 torna in Italia, aderisce al fascismo, nascono due figli e nel 1928 si converte al cattolicesimo. Nel 1931 uscì l’Allegria, nel 1936 si trasferisce a San Paolo in Brasile per sfuggire alla Seconda Guerra Mondiale; durante questi anni gli muore a 9 anni il figlio. Rientra in Italia nel 1942, uscì dal partito fascista e durante il secondo dopoguerra sono notevoli i riconoscimenti che vanno a lui. Nel 1969 stampò per Mondadori l’edizione completa della sua opera poetica: Vita d’un uomo. Ungaretti muore a Milano nel 1970.
Non gridate più
Non Gridate Più
Cessate d'uccidere i morti,
non gridate più, non gridate
se li volete ancora udire,
se sperate di non perire.
Hanno l'impercettibile sussurro,
non fanno più rumore
del crescere dell‘erba,
lieta dove non passa l'uomo.
Questa poesia inerente il dolore causato dalla guerra fa parte della raccolta Il dolore, di Guseppe Unaretti.
‘’Non gridate più’’ è una poesia scritta nell’immediato dopoguerra che ha lo scopo di parlare a chi ha vissuto e superato le terribili tragedie di quegli anni di guerra.
Pur se fatta di imperativi, la poesia non vuole esprimere ordini o comandi ma rivolgere una preghiera agli esseri umani affinché comprendano che solo riscoprendo il valore della pietà e della benevolenza nei confronti degli altri potranno salvarsi.
La poesia si gioca sul contrasto tra i vivi, che ancora possono uccidere coloro che già sono morti, nuovamente, con le loro urla barbariche e i morti, che invece tramite il loro sussurro provano a veicolare un senso di pace e a restituire agli uomini un po’ di quella dignità perduta.
La figura che Tacito si appresta a celebrare nell’opera è quella del suocero Agricola, creando una biografia encomiastica. Egli non lo descrive come un oppositore, ma come un attivo collaboratore dei principi buoni o cattivi che fossero, da Nerone a Domiziano.
In primo luogo tenta di presentare Agricola come una delle vittime innocenti di Domiziano, a tale scopo insiste sulla gelosia che i successi militari del suocero avrebbero suscitato nel principe; tutta l'opera è percorsa da una polemica sottile e quasi sempre indiretta contro gli oppositori storici. Nella biografia del suocero, tacito espone la vita del personaggio: contemporaneamente, mediante poche ma efficaci tratti, lo scrittore delinea l'emergere delle sue qualità: prontezza nell'apprendere e nell'agire, prudente accortezza nell'evitare di oscurare i superiori con i suoi successi.
L'agricola è una biografia particolare che per molti aspetti si allontana dagli schemi consueti del genere. Mancano del tutto gli aneddoti, i pettegolezzi, l'interesse si concentra in modo esclusivo sull'aspetto pubblico del protagonista. Lo stile è in armonia con la nobiltà e la dignità della materia e offre un primo saggio della capacità dell'autore di impiegare una varietà molteplice di toni e registri. I principali modelli a cui si spira sono Sallustio, nelle narrazioni delle vicende di guerra, Livio è il modello dei due discorsi contrapposti dei generali sul campo di battaglia. Mentre i capitoli finali con un tono solennemente oratorio hanno un ritmo tipicamente ciceroniano.